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Statistiche

Vodafone è il miglior operatore 4G 

Nella classifica di Altroconsumo Vodafone ottiene 34.447 punti, seguito a grande distanza dagli altri 3 operatori: Iliad (24.497 punti), Tim (23.715), e WindTre (23.037). È quindi Vodafone il migliore operatore di rete mobile 4G in Italia nel 2022. Rispetto al 2021, però, tutti gli operatori hanno avuto un incremento delle performance, che deriva principalmente dai miglioramenti di velocità di download. È quanto emerge dall’indagine di Altroconsumo sulla performance dei provider di telefonia mobile, effettuata con il contributo di oltre 20.000 utenti tramite l’app CheBanda, che misura la qualità della rete mobile del proprio operatore.

In testa anche per velocità di download e upload

Il contributo dei consumatori ha permesso di valutare una serie di parametri, come velocità di download e upload, qualità di navigazione su siti internet e qualità della visione di video. Il test misura la velocità di trasmissione per scaricare dati nello smartphone e inviarli. Poiché questi parametri impattano non soltanto sul tempo necessario a ricevere e inviare file, ma anche sul tempo necessario ad accedere e interagire con siti internet, sono estremamente importanti e influenzano ulteriori parametri di qualità d’uso. E Vodafone risulta ancora in testa, con 51,2 Mbps per download e 11,9 Mbps per upload, + 28% di velocità di download rispetto al 2021.

I parametri per la navigazione e lo streaming

Il test monitora anche l’accesso ad alcuni tra i siti internet più visitati, verificando se la pagina si apre correttamente e quanto tempo è necessario ad accedervi. Se il ritardo complessivo è inferiore a 10 secondi la qualità di navigazione (Qnb) viene considerata buona. Un ritardo superiore o un fallimento nell’accesso alla pagina vengono considerati negativi. Per ogni operatore viene conteggiata la percentuale di successo. In più, il test verifica il tempo di caricamento e di attesa del video selezionato, eventuali pause (buffering) e tempi di attesa. Per ritardi inferiori a 12 secondi la qualità di streaming (Qsb) viene considerata buona, mentre ritardi superiori o un fallimento nel caricamento del video vengono considerati negativamente. Per ogni operatore viene conteggiata la percentuale di successo.

Il 5G migliora le performance, ma non la “latenza” 

Le misurazioni sono state effettuate dagli utenti utilizzando la miglior tecnologia mobile: la maggioranza dei test è avvenuta in 4G (89%), poco oltre il 2% in 3G, un valore inferiore a 0,5% in 2G, e oltre l’8% in 5G. Per quanto riguarda il 5G, riporta Adnkronos, il miglioramento delle performance delle reti mobili è notevole rispetto al 4G. Il 5G promette un miglioramento sulla velocità di download, effettivamente già percepibile per tutti gli operatori valutati. Infatti, si passa da valori che si aggirano intorno ai 40 Mbps del 4G a velocità che arrivano a 80 (WindTre) e 90 Mbps (Iliad), fino ad arrivare a circa 150 Mbps per Vodafone e Tim. Al contrario, le valutazioni positive nei confronti della latenza (il tempo che intercorre tra un’azione dell’utente e l’effettiva risposta della rete), diminuiscono considerevolmente per il 5G rispetto al 4G.

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Economia

Qual è la situazione finanziaria dell’Italia?

Qual è la situazione finanziaria dell’Italia in questo non facile momento storico?  La risposta è in un rapporto nuovo di zecca. L’Annual WIN World Survey 2022 fotografa, all’alba dell’inizio del nuovo anno, la situazione finanziaria e l’impatto di inflazione e crescita dei costi nella vita dei cittadini di 39 Paesi, sulla base di quasi 30.000 interviste. BVA Doxa, parte dell’Associazione promotrice WIN International, è responsabile della raccolta e analisi dei dati sull’Italia.

Perchè è aumentato il costo della vita?

Il costo della vita è aumentato a causa di diversi fattori, tra i quali la pandemia e crisi politiche ed economiche che hanno colpito diversi paesi del mondo. Su questo scenario, in Italia più che in altri Paesi la maggioranza mantiene uno stile di vita equilibrato, senza né eccessi né difficoltà (48% degli intervistati, dato che supera la media europea del 41% e quella globale del 36%).
Di conseguenza, è più ridotta la quota di chi vive senza preoccupazioni (21% in Italia vs 26% di media europea e 25% quella globale), mentre chi è in difficoltà ad arrivare a fine mese è il 28% (in linea con il 29% dell’Europa e meglio del 36% a livello mondiale). Paesi come la Germania mostrano una spaccatura più netta tra chi vive con agio (38%) e chi invece è in sofferenza (34)%. Rispetto all’Italia la situazione è leggermente migliore in UK e Francia, rispettivamente con il 27% e il 26% che dichiara di vivere serenamente, mentre il 29% e il 28% sono coloro che non riescono ad affrontare gli aumenti del carovita.

Come si riducono le spese?

Come conseguenza dell’aumento del costo della vita, ecco la riduzione delle spese, affrontata da quasi la metà (48%) degli intervistati in tutto il modo. Un altro 29% prevede di farlo nei prossimi mesi, mentre il 19% non prevede cambiamenti nel proprio stile di vita e consumo. Tra questi ci sono i più senior, che possono probabilmente contare sui risparmi: infatti il dato di coloro che non prevedono modifiche al budget delle spese sale al 21% per la fascia 55-64 anni e al 24% fra gli over 65.
In generale i cittadini e consumatori Europei sono sensibili al tema del contenimento delle spese: il 54% degli intervistati dichiara tagli negli ultimi mesi, mentre chi li prevede nei prossimi è il 24%. In linea anche l’Italia: a ridurre le spese sono stati il 49% degli italiani, mentre il 30% prevede di farlo.

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Varie attualità

Perchè l’inglese sta diventando la lingua “ufficiale” delle aziende?

La coscienza dell’inglese? Fondamentale, almeno per lavorare nella gran parte della nuove start up e imprese digital. A dirlo è una recente analisi di Twenix, società impegnata nel settore EdTech. In base ai dati raccolti dalla società e pubblicati in un white paper, sono sempre più numerose le aziende che scelgono l’inglese come lingua ufficiale o corporate. Si tratta di un fenomeno di portata globale, che non si limita al territorio occidentale, ma che si estende anche all’Oriente, come nel caso di grandi compagnie come Samsung, Honda e Lenovo. Multinazionali cui si aggiungono sempre più spesso piccole e medie imprese e startup, che, al pari delle grandi, si aprono ai mercati esteri o accolgono team internazionali.

L’inglese è la lingua universale

L’inglese è la lingua franca d’eccellenza in tutte quelle società che necessitano di un mezzo di comunicazione unitario all’interno di un ambiente di lavoro eterogeneo e multilingue.
L’importanza di adottare un linguaggio comune in ambito professionale è assodata, tanto più che, come rivelato da uno studio dell’Intelligence Unit di ‘The Economist’, una comunicazione che non funziona può compromettere le performance di un’impresa, causando: ritardi o fallimenti nel portare a termine progetti (nel 44% dei casi); morale più basso dei team (31% dei casi); mancato raggiungimento di obiettivi di performance (25% dei casi); perdite economiche (18% dei casi). In sintesi, conoscere l’inglese è ormai un assettatevi strategico per riuscire non solo a emergere, ma semplicemente lavorare bene.

Il valore del Business English


Colloqui, presentazioni, meeting e call in inglese sono situazioni entrate nell’esperienza di moltissimi professionisti e che li hanno messi di fronte all’esigenza di lavorare sulla propria competenza linguistica, in particolar modo orale: «Senza dubbio l’abilità di comunicazione è fondamentale per presentarsi, scambiare idee e opinioni, elaborare strategie. L’inglese è sempre parlato. La facoltà principale da padroneggiare in questi contesti è lo speaking che tuttavia non tutti ancora possiedono. Secondo l’indagine ‘Perché l’inglese è ancora un ostacolo nella tua azienda (e come superarlo)’ condotta da Twenix, oltre la metà (52%) degli italiani afferma di percepire un blocco al momento di intavolare una conversazione in inglese, nonostante il 93% la giudichi uno strumento professionale fondamentale. Proporre un metodo didattico personalizzato, semplice e divertente, con percorsi formativi pratici, ritagliati su misura delle esigenze e degli interessi del singolo professionista, potrebbe essere la soluzione di questo problema.

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Varie attualità

Passeggiare nei boschi combatte ansia e depressione 

Nel 2020 in tutto il mondo 264 milioni di persone hanno sofferto di depressione. La depressione è purtroppo un fenomeno comune, così come l’ansia, e spesso questi due disturbi si verificano insieme.
In particolare, in Norvegia, il numero di adolescenti e giovani adulti con depressione e ansia è raddoppiato: il 44% delle ragazze adolescenti norvegesi ora lotta con lo stress e i pensieri pesanti. E circa una persona su dieci sperimenterà ansia o depressione nel corso di un anno.  Dopo una passeggiata nei boschi però i pensieri scorrono un po’ più calmi, le spalle si abbassano, il cuore smette di battere forte. Lo rivela una nuova ricerca dell’Università norvegese di scienza e tecnologia (NTNU) guidata dal professor Simone Grassini, neuroscienziato e professore associato di psicologia all’Università di Stavanger.

La conferma arriva dalla scienza

Il professor Grassini ha selezionato gli studi in cui i ricercatori includevano un gruppo che faceva passeggiate nei boschi e un gruppo di controllo che non faceva passeggiate nei boschi. Tutti, in entrambi i gruppi, hanno lottato con ansia e depressione. Sono stati selezionati sei studi e tutti dicono tutti la stessa cosa: una passeggiata nei boschi è efficace contro l’ansia e la depressione.
“Queste passeggiate sono un metodo efficace e semplice per qualcosa con cui molte persone lottano”, spiega Grassini.

Minore attività nel centro della paura del cervello

Studi di laboratorio dimostrano che anche brevi esposizioni a immagini e video della natura portano a un cambiamento dell’attività cerebrale correlata al rilassamento e al benessere. 
Altre ricerche che dimostrano poi che l’esercizio stesso ha un effetto positivo sull’esperienza del benessere.
“Studi condotti all’aperto hanno dimostrato che anche una breve esposizione a un ambiente forestale porta a una minore attività nel centro della paura del cervello”, aggiunge Grassini.

Negli spazi verdi capiamo di essere parte di qualcosa di più grande

Sebbene il potere curativo della natura non sia stato analizzato con metodi scientifici, è qualcosa su cui molti filosofi hanno riflettuto. Solveig Be, professore di filosofia alla NTNU sottolinea che anche gli esseri umani fanno parte della natura. “Se torniamo abbastanza indietro nella nostra storia evolutiva biologica, siamo imparentati con tutto ciò che vive e ha vissuto”.
Questo spiega, secondo il filosofo, perché stare nella natura sembra significativo. Può aiutarci a renderci conto che c’è qualcosa di più importante di ciò su cui andiamo in giro a meditare nel nostro cuore, riferisce Agi. 
“Fuori negli spazi verdi, circondati dal canto degli uccelli, dal suono dell’acqua che scorre, dall’odore della vegetazione, capiamo di essere parte di qualcosa di più grande – afferma Be -. Può farci bene e aiutarci a dimenticare noi stessi per un po”. 

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Varie attualità

Media e crisi: il 18° Rapporto sulla comunicazione del Censis

Crescono ancora gli utenti di Internet, smartphone e tv via web. Tornano a diminuire i lettori di libri, e non si ferma il boom della spesa delle famiglie per i dispositivi digitali.  Ma considerando l’affidabilità di cui godono i media e la fiducia da parte dell’opinione pubblica, radio televisione e carta stampata nell’ultimo anno staccano di gran lunga web e social network in termini di credibilità. Tuttavia, il 60,1% degli italiani ritiene legittimo il ricorso a qualche forma di censura: per il 29,4% non dovrebbero essere diffuse fake news accertate, opinioni intenzionalmente manipolatorie e propagandistiche (15,7%), o pareri espressi da persone che non hanno competenze (15,0%). Al contrario, per il 39,9% la censura non è mai giustificata. Questi, in sintesi, i risultati del 18° Rapporto sulla comunicazione del Censis.

Boom della mobile tv e radio sempre più ibrida 

Nel 2022 il 95,1% degli italiani guarda la televisione, ma la percentuale dell’utenza è il saldo tra la contrazione del numero di telespettatori della tv tradizionale (digitale terrestre -3,9%), la lieve crescita della tv satellitare (+1,4%), il forte rialzo della tv via internet (web tv e smart tv +10,9%) e il boom della mobile tv, passata dall’1,0% di spettatori nel 2007 al 34,0% di oggi.
La radio continua a rivelarsi all’avanguardia all’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media. I radioascoltatori sono il 79,9% degli italiani, ma se la radio ascoltata in casa attraverso l’apparecchio tradizionale si attesta al 48,0% (-0,8%), l’autoradio sale al 69,0% (+4,6%), l’ascolto via internet col pc è stabile al 20,4%, e via smartphone lo fa il 29,2% (+5,4%).

Sempre più Internet, sempre meno libri e giornali

Nel 2022 si registra ancora un forte aumento dell’impiego di internet (88,0%, +4,5%, con una perfetta sovrapposizione con quanti utilizzano lo smartphone: 88,0%, +4,7%), e lievitano all’82,4% gli utenti dei social network (+5,8%). Tra i giovani (14-29enni) si registra un ulteriore passo in avanti nell’impiego dei social (93,4% WhatsApp, 83,3% YouTube, 80,9% Instagram), con il forte incremento di TikTok (54,5%), Spotify (51,8%) e Telegram (37,2%), e la flessione di Facebook (51,4%) e Twitter (20,1%). Per i media a stampa, invece, si accentua ulteriormente la crisi, a cominciare dai quotidiani cartacei, letti ormai solo dal 25,4% (-41,6% in quindici anni). Gli italiani che leggono libri cartacei sono invece il 42,7% (-0,9%). Una flessione parzialmente compensata dai lettori di e-book (13,4%, +2,3%).

Smartphone & co: in 15 anni +572,0% di spesa

Tra il 2007 e il 2021 la spesa per l’acquisto di telefoni ed equipaggiamento telefonico segna un vero e proprio boom, moltiplicando il valore per quasi sette volte, +572,0% (7,9 miliardi di euro nell’ultimo anno), mentre quella dedicata all’acquisto di computer, audiovisivi e accessori poi è più che raddoppiata (+138,9%).
Ma se i servizi di telefonia e di traffico dati si assestano verso il basso per effetto di un radicale riequilibrio tariffario (-20,7%, 14,7 miliardi di euro), la spesa per libri e giornali ha subito un vero e proprio crollo: -37,7% rispetto al 2007.

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Varie attualità

Nel 2023 disoccupazione all’8,4% con 63mila disoccupati in più

A ottobre 2022 l’occupazione ha toccato il record storico. Un grande risultato, che però potrebbe invertirsi nel giro di qualche mese. Nel 2023, infatti, il tasso di disoccupazione è destinato a salire all’8,4%. Un livello che, se torna ad allinearsi con il 2011, contribuisce a incrementare il numero dei disoccupati di almeno 63mila unità. I disoccupati in totale saranno quasi 2.118.000, distribuiti soprattutto al Centro-Sud Italia. L’incidenza della sommatoria dei nuovi disoccupati di Sicilia (+12.735), Lazio (+12.665) e Campania (+11.054) sarà pari al 58% del totale nazionale
A dare l’allarme è l’Ufficio studi della CGIA, sulla base di un’elaborazione dati Istat e delle previsioni Prometeia.

La Top 10 delle province più disoccupate

Nel 2023 la crescita del Pil e dei consumi è destinata ad azzerarsi, e a livello territoriale le 10 province più interessate dall’aumento dei disoccupati sono Napoli (+5.327 unità), Roma (+5.299), Caserta (+3.687), Latina (+3.160), Frosinone (+2.805), Bari (+2.554), Messina (+2.346), Catania (+2.266), Siracusa (+2.045) e Torino (+1.993).
Sebbene non sia facile stabilire i settori maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, sembra che i comparti manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire maggiori contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali, tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, macchinari, alimentare-bevande e nell’alta moda saranno meno esposte. Difficoltà anche per trasporti, filiera automobilistica ed edilizia, quest’ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus.

Crisi pandemica e rischio povertà per gli autonomi

Da febbraio 2020 a ottobre 2022 i lavoratori indipendenti sono scesi di 205mila unità, mentre i lavoratori dipendenti sono aumentati di 377mila. La crisi pandemica e quella energetica ha colpito soprattutto le partite Iva, che a differenza dei lavoratori subordinati sono più fragili. In caso di difficoltà momentanea, ad esempio, non hanno né Cig né, in caso di chiusura dell’attività, alcuna forma di NASPI. Inoltre, il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti.

Saracinesche abbassate, città meno sicure

Il rischio di mettere a repentaglio la coesione sociale del Paese è molto forte. Le chiusure stanno interessando sia i centri storici sia le periferie delle città, gettando nell’abbandono interi isolati, provocando un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita. Meno visibile, ma altrettanto preoccupante, sono le chiusure che hanno interessato anche liberi professionisti, avvocati, commercialisti e consulenti, che svolgevano la propria attività in uffici/studi ubicati all’interno di un condominio. Insomma, le città stanno cambiando volto. Con meno negozi e uffici sono meno frequentate, più insicure e con livelli di degrado in aumento. Anche la Grande Distribuzione Organizzata è in difficoltà, e non sono poche le aree commerciali che presentano intere sezioni con attività che ora hanno abbassato le saracinesche.

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Online

Nomadismo digitale: un fenomeno in crescita anche grazie alla tecnologia 

Secondo l’ultima edizione dell’European Employer Survey, l’osservatorio di Littler sul nomadismo digitale, il 73% degli intervistati dichiara di avere dipendenti ‘nomadi digitali’. Nel 2021 erano il 61%. In generale, però, emerge un sentiment di preoccupazione tra le aziende (89%), soprattutto per i rischi legali, le implicazioni fiscali e altri problemi occupazionali. Di fatto, il ‘nomadismo digitale’ è un fenomeno in crescita, che offre tante opportunità, soprattutto per spalancare le porte a talenti e professionisti specializzati, ma che comporta anche tante sfide per le aziende. In primo luogo, in termini logistici e normativi.

Tra stereotipi idealizzati e vere opportunità

Tra gli stimoli che fanno crescere il nomadismo digitale, c’è sicuramente l’aspirazione dei lavoratori di abbracciare uno stile di vita più flessibile e autonomo, che possa migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Per le aziende è un’opportunità per attrarre e trattenere nuovi talenti.
“Spesso, quando si parla di nomadismo digitale, si pensa a una persona alla scrivania con vista su una spiaggia tropicale. Si tratta di stereotipi idealizzati e stili di vita irrealistici – spiega Edoardo Vitale, Content Manager di Mine Studio -. In Italia, ad esempio, il nomadismo digitale offre opportunità enormi per ripopolare le aree interne e i comuni abbandonati, rimettendo in circolo economie stagnanti e rispondendo alla sempre più crescente necessità di orari di lavoro flessibili e costi della vita inferiori”.

Non c’è remotizzazione senza digitalizzazione

In questo scenario, la tecnologia riveste un ruolo fondamentale nel rendere possibile una modalità di lavoro impensabile fino a pochi anni fa.
“Il fenomeno della remotizzazione dei dipendenti rende imprescindibile la digitalizzazione in tutte le sue sfaccettature: anche quella dei pagamenti delle spese aziendali”, sottolinea Davide Salmistraro, Country Manager in Italia di Soldo.
Lavorare fuori dai confini aziendali richiede condizioni tali da soddisfare le esigenze di efficienza, portabilità e connettività necessarie per mantenere il livello di produttività e affidabilità richiesto. Se da un lato la tecnologia offre sempre maggiori opportunità per accedere e organizzare in maniera ottimale dati e file, dall’altro genera anche nuove sfide per le aziende in termini di archiviazione, backup e protezione dei dati sensibili.

In cerca di nuove soluzioni per proteggere i dati sensibili

Secondo i risultati di una ricerca commissionata da Western Digital nel 2021, riporta Adnkronos, il 63% dei data-manager italiani ha visto aumentare incidenti e minacce alla sicurezza dei dati negli ultimi 12 mesi.
“Con l’evoluzione della tecnologia, dipendenti e datori di lavoro sono alla ricerca di nuove soluzioni per archiviare e condividere i dati sensibili in modo più sicuro – aggiunge Fabrizio Keller, Senior Product Marketing Manager Western Digital -. La combinazione tra un’infrastruttura adeguata, che integri piattaforme di crittografia per archiviare e condividere i dati sensibili, e una maggiore formazione dei dipendenti sulle minacce a cui possono esporre la propria organizzazione, contribuirà a migliorare il panorama delle minacce e a ridurre i rischi”.

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Online

Meta: nuove possibilità di monetizzare per i creator di Facebook e Instagram

Da Meta sono in arrivo nuovi strumenti dedicati ai creator per monetizzare su Facebook e Instagram, anche in Italia. Tra le novità anche la possibilità di mostrare o condividere su Instagram gli NFT. Creator e collezionisti avranno quindi la possibilità di connettere il loro portafoglio digitale e postare i collezionabili digitali che avranno creato o comprato. Inoltre, sono più ampie le tipologie di NFT che sarà possibile mostrare su Instagram, come video o NFT animati. E sono già disponibili informazioni sulle raccolte i cui metadati sono stati implementati da OpenSea, come nome e descrizioni. Riguardo a Instagram, Meta inizierà a testare gli abbonamenti con i creator nel Regno Unito, Australia e Canada.

Facebook Stars verrà abilitata anche sui Reels

Verrà poi semplificato l’uso della funzione Facebook Stars, abilitandola anche su contenuti pubblici dei creator, come i Reels. Le persone potranno così scoprire e utilizzare le Stelle in più contesti su Facebook. Per i creator che stanno già utilizzando le Stelle, verranno lanciate nuove funzionalità, che permettano loro di guadagnare in modo più semplice attraverso le Stelle e di interagire con chi le invia. Verranno anche introdotti nuovi set di regali virtuali con contenuti su misura. Ad esempio, se si guarda un Reel che mostra il cucciolo del pet creator preferito, si potrà inviare a quel creator un regalo a tema canino.

Più strumenti per interagire con chi invia Stelle

Ai creator verranno messi a disposizione più strumenti per interagire con chi invia Stelle. Come, ad esempio, aggiungere un filtro nella sezione Gestisci Commenti, che mostra tutte le Stelle ricevute da un creator in un unico posto. In questo modo i creator potranno rispondere a più commenti in una volta sola. Recentemente è stato lanciato su Facebook un sistema di condivisione dei ricavi per la musica, che offre ai creator e ai proprietari dei diritti musicali una nuova modalità per monetizzare dai video condivisi sulla piattaforma. Ogni volta che un creator utilizza una musica concessa in licenza nei propri video su Facebook per 60 secondi o più può monetizzare tramite annunci in-stream. E una quota delle entrate è destinata al titolare dei diritti musicali.

Il profilo diventa Professionale

Un’altra novità riguarda la modalità Professionale per Profili Facebook, che offre ai creator e a tutte le persone maggiori di 18 anni una serie di strumenti e opportunità per iniziare a monetizzare attraverso Facebook Stars, inserzioni su Facebook Reels, inserzioni in-stream, o con il programma bonus Reels Play. Si tratta di una nuova impostazione del profilo, riporta Italpress, che permette ai creator di tutto il mondo di costruire una presenza pubblica sulla piattaforma, senza rinunciare alla propria esperienza personale. E che permetterà di avere accesso a sistemi di analisi dei contenuti e dell’audience, oltre che a nuovi strumenti di formazione.

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Economia

Calano le richieste di credito da parte delle imprese

Nel terzo trimestre 2022 il numero di richieste di credito presentate dalle imprese italiane ha segnato una flessione del -4,6% rispetto allo stesso periodo del 2021. La contrazione riguarda principalmente le imprese individuali, mentre le richieste provenienti dalle società di capitali restano sostanzialmente stabili. Quasi la metà delle richieste è stata presentata da imprese attive nel settore dei servizi e del commercio, ed è in decisa crescita l’importo medio richiesto. Si tratta delle principali evidenze emerse dall’ultimo Barometro CRIF, che analizza le istruttorie di finanziamento registrate in EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF.

Imprese individuali: -11,9%

La dinamica in atto riguarda principalmente le imprese individuali, che nel periodo preso in esame, fanno segnare un -11,9%, mentre le richieste provenienti dalle società di capitali si sono mantenute sostanzialmente stabili (-0,8%). Al contempo si riscontra una decisa crescita dell’importo medio richiesto, (+18,45%), che si attesta a 123.691 euro. Per quanto riguarda le imprese individuali, che rappresentano la spina dorsale del tessuto economico e produttivo nazionale, l’importo medio dei finanziamenti richiesti è risultato pari a 36.374 euro (-2,6% rispetto al corrispondente periodo 2021) contro i 163.891 euro delle società di capitali (+17,7%).

Richieste più elevate per Servizi e Commercio

Tra i settori caratterizzati da volumi di richieste di credito particolarmente elevati, al vertice si collocano i Servizi, quasi un quarto del totale (23,7%) malgrado una leggera flessione rispetto al III trimestre 2021 (-1,4%). Al secondo posto il Commercio (23,0%), a conferma di quanto l’erosione dei margini stia accentuando il bisogno di liquidità. Al terzo posto Costruzioni e Infrastrutture (17,9%), con un‘incidenza sul totale richieste in sensibile aumento rispetto al 2021 (+1,7 %). Questa dinamica riflette le prospettive creditizie previste in peggioramento, e l’esigenza di nuova finanza anche a causa del progressivo venir meno delle misure straordinarie che avevano sostenuto il comparto nel 2021.

Meno richieste per il settore farmaceutico

Il settore manifatturiero (10,9%) sta affrontando le criticità derivanti dalla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e l’impennata dei costi dell’energia. Infatti, le imprese di questo settore dovranno iniziare a valutare piani di investimento per far fronte alla necessaria transizione ecologica e diminuire la dipendenza dai combustibili fossili. Nel complesso, i settori che presentano una minore incidenza sul totale delle richieste sono quelli caratterizzati da una ridotta numerosità di imprese attive sul territorio nazionale, e nel caso di quello farmaceutico, dalla capacità di generare cash flow per loro stessa natura gestendo beni di prima necessità.

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Economia

Green economy, un’economia a misura d’uomo per vincere le crisi

La sostenibilità e la svolta green delle aziende è la chiave di volta per l’economia italiana, mai come ora. L’Italia è infatti il principale destinatario delle risorse del Recovery Plan e anche per questo è chiamata a un ruolo da protagonista nella transizione verde. La sostenibilità, oltreché necessaria per affrontare la crisi climatica, riduce i profili di rischio per le imprese e per la società tutta, stimola l’innovazione e l’imprenditorialità, rende più competitive le filiere produttive. Lo dimostrano i dati e le storie del Rapporto GreenItaly, arrivato alla tredicesima edizione, realizzato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere.

Ottime performance

“Nell’anno di ripresa post-pandemia, nel 2021, è cresciuta la quota di imprese eco-investitrici, rilanciando il processo di transizione verde del Paese. Si è passato, infatti, da una quota del 21,4% del 2020, anno in cui gli investimenti green avevano comunque tenuto, ad una del 24,3%” ha affermato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete. “Da anni il nostro mondo produttivo dimostra un’attenzione specifica ai temi della sostenibilità ambientale, e oggi, anche in ragione dell’emergenza energetica, guarda con interesse alle potenzialità delle rinnovabili. Ma, purtroppo, i tempi autorizzativi stanno rallentando l’installazione di impianti per la produzione di questo tipo di energia. Basti pensare che nel 2021 è stata installata solo una potenza pari a 1.351 MW, un dato molto lontano dal target definito dal Governo pari a 70.000 MW da installare entro il 2030”.
Per quanto riguarda i numeri, sono oltre 531 mila le aziende che nel quinquennio 2017-2021 hanno deciso di investire in tecnologie e prodotti green: il 40,6% delle imprese nell’industria ha investito, valore che sale al 42,5% nella manifattura. Guardando alle performance economiche è possibile comprendere anche le ragioni che spingono le imprese a investire in prodotti e tecnologie verdi. Le imprese eco-investitrici sono infatti più dinamiche sui mercati esteri rispetto a quelle che non investono (il 35% delle prime prevede un aumento nelle esportazioni nel 2022 contro un più ridotto 26% di quelle che non hanno investito) percentualmente aumentano di più il fatturato (49% contro 39%) e le assunzioni (23% contro 16%).

Un slancio all’occupazione

Nel 2021 l’occupazione green non è stata in grado di differenziare il proprio andamento rispetto alla dinamica occupazionale generale, interrompendo il trend di crescita riscontrato negli ultimi anni. I contratti relativi ai green jobs – con attivazione 2021- rappresentano il 34,5% dei nuovi contratti previsti nell’anno. Andando nello specifico delle figure ricercate dalle aziende per le professioni di green jobs, emerge una domanda per figure professionali più qualificate ed esperte in termini relativi rispetto alle altre figure, che si rispecchia in una domanda di green jobs predominante in aree aziendali ad alto valore aggiunto. A fine anno gli occupati che svolgono una professione di green job erano pari a 3.095,8 mila unità, di cui 1.017,8 mila unità al Nord-Ovest (32,9% del totale green nazionale), 741,2 mila nel Nord-Est (23,9%), 687,9 mila unità nel Mezzogiorno (22,2%) e le restanti 648,8 mila al Centro (21%).